A sei anni di distanza da “La ferocia“, vincitore del Premio Strega e del Premio Mondello, ritorna Nicola Lagioia con “La città dei vivi” che vince, nel 2021, il Premio Bottari Lattes Grinzane.
Un libro profondo che è la ricostruzione dell’omicidio del ventitreenne Luca Varani, avvenuto il 4 marzo 2016. Una narrazione dell’autore che ci annichilisce dentro uno degli omicidi più efferati degli ultimi anni.
Un agghiacciante caso mediatico che Nicola Lagioia traspone in una storia a cavallo fra reportage e romanzo.
Lo scenario del thriller
“La città dei vivi” è un viaggio nella città eterna che è, al tempo stesso, radiografia della natura umana, responsabilità e colpe. Non solo indifferenza, ma anche l’analisi dell’istinto di sopraffazione e su quello che diventa il libero arbitrio quando si ha contezza e consapevolezza di poterla far franca.
Vale a dire: non pagare il prezzo per quello che abbiamo commesso. In altre parole, un confine labile fra chi siamo e chi potremmo diventare se il caso, oppure semplicemente il destino, ci spingeranno in quell’oltre.
Una prosa eccezionale di un Nicola Lagioia lucidissimo nell’esporci la cronaca dei fatti agghiaccianti di quel marzo 2016 che viviseziona al punto che non c’è più distinzione fra chi rappresenta il cattivo e quello che non lo è, ma ha le sue colpe e abulia.
Tanto che alla fine nessun personaggio del romanzo ne esce bene e il lettore da spettatore diventa parte del romanzo e comparsa. L’autore, però non sale sul pulpito per dire la sua e condannare.
Alla fin fine è, in parte, come la scena al Salone del Libro di Torino, dove lui, sul caso della ministra Eugenia Maria Roccella, Augusta Montaruli e pacifisti ambientalisti non prende posizioni chiare e definitive, ma fotografa l’esistente che è pure degrado morale.
La trama angosciosa e lucida del romanzo.
L’uccisione di Luca Varani fu un caso di cronaca nera di cui Nicola Lagioia ha fatto un libro fotografando la città eterna, Roma che costituisce una sorta di ossimoro.
Un titolo emblematico: una città in cui vivono le persone ma che è morta e in degrado. Dove i topi sono i veri padroni di una metropoli in forte declino e abbandono.
Un libro inchiesta in cui il disfacimento morale ammanta e corrode tutto senza speranza di un nuovo traguardo se non quello di pensare ad un passato glorioso che non tornerà mai più.
E leggere il libro sarà come partecipare ad una seduta dall’analista alla quale il lettore sarà costretto a partecipare e a interrogarsi con la pretesa, vana, di capire e di salvarsi, forse.
Muovendosi sul confine labile fra reportage e romanzo, l’autore realizza una nuova prosa ipnotica.
I tre giorni di buio.
In un appartamento di 80 metri quadrati di via Igino, alla periferia di Roma, due giovani, Prato e Foffo iniziano a chiudersi in un’altra dimensione, quella in cui tempo e spazio perdono ogni loro connotazione, misura e si smarrisce ogni senso logico.
Fra droga e alcol, si immergono in un mondo parallelo e distorto dentro cui invitano ad entrare la vittima, un ragazzo di origini jugoslave che ha una tenera storia con una ragazza della sua età.
Ne scaturisce un romanzo particolarmente intenso, ambizioso, che funge da corrente alternata fra lettore e autore, dove l’impossibile è diventato possibile e agghiacciante.
Per la cronaca si tratta del mostro della porta accanto, ma ne “la città dei vivi” diventa – senza giudizi di sorta – desolazione dove la droga e l’alcol scorrono a fiumi e ci si può interrogare su dove siano i genitori, le madri, i fratelli, fino a quando ci sarà un altro caso di cronaca, se non simile, raccapricciante e squallido, come questo.
Un rituale disumano in cui la vita della vittima perde e, allo stesso tempo, acquista significato.
Tommaso Lo Russo