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Dopo tanta nebbia. Le indagini di Lolita Lobosco – Di Gabriella Genisi

Il successo conseguito in Puglia sui traffici di rifiuti pericolosi le fa ottenere una promozione che la fa diventare questore. Ovviamente non può rimanere là al mare e deve trasferirsi a Padova. 

Il viaggio in treno

«Avevo deciso di partire leggera, in modalità zen, per dedicarmi solo al lavoro ed evitare di passare le serate al telefono a sussurrare smancerie come una qualsiasi studentella fuori sede. Ché a quarant’anni queste cose non si possono fare più, e io non le facevo manco a diciotto. Sì, certo, Gennaro aveva provato a protestare, ma poi si era lasciato sedurre da una babysitter polacca venticinquenne, conosciuta al parco mentre fotografava i piccioni, e a me non ci aveva pensato più».

Se Gennaro (non il santo) Lolita lo può dimenticare facilmente non lo è altrettanto con “Giovanninomio”.

Nella città di San’Antonio, Lolita c’era già stata trent’anni prima per via che i pugliesi quando non ricevevano la grazia da San Nicola e nemmeno da San Gennaro: per una malattia, un licenziamento, un marito che ti tradiva con una svergognata o un figlio che non arrivava mai, facevano ricorso a Sant’Antonio.

Una volta giunta a Padova da questore, memore delle abitudini mutuate dalla nonna, per prima cosa Lolì entra in chiesa a riposare nella penombra, fare una carezza al mausoleo dov’erano conservate le reliquie, osserva la gente in ginocchio intenta a pregare.

«Che Padova non era cosa per me c’era voluto poco a capirlo.

Sarà stato per quell’umido che mi mortificava i capelli o per le mancanze che avvertivo come un peso sul petto: il sole, l’odore della focaccia a tutte le ore, il blu oltremare di Bari».

Padova e la vita notturna

Dalla prima notte padovana il questore perde completamente la sua attività onirica.

Le manca quella pace in cui, almeno di sera, la sua anima andava ad acquietarsi. Al mattino, dopo quei sonni inutili, si alza più stanca di prima, senza aver trovato alcun ristoro alle lunghe giornate d’ufficio.

Gli inizi non sono facili, anzi. L’ambiente si rivela più intollerante del previsto e i suoi colleghi non la sopportano, tanto da definirla «Bisbetica indomata».

La nebbia confonde i pensieri e mortifica i capelli, l’orizzonte d’acqua di Bari è troppo lontano per curare la solitudine.

La second life che faceva in Puglia stenta ad arrivare e sulla scirvania, per sentirsi meno sola, ha messo le foto dei suoi tre colleghi baresi.

Solo grazie all’aiuto e ai consigli di Giancarlo Caruso, affascinante vicequestore di origini siciliane, che comincia a prendere a cuore il caso e a illuminarla sulla normativa vigente in materia di questori: all’articolo 118, comma 1, si afferma che i suddetti, qualora lo ritengano necessario, possono avvalersi di consulenti esperti e/o collaboratori esterni.

La copertina del libro.
L’uovo di colombo

Sapere di poter far venire a Padova i suoi ex colleghi di Bari la rimette quasi in pace con il mondo. Ce l’avevi una squadra di cui ti fidavi a Bari, la interroga il vicequestore Caruso?

«Certo che ce l’avevo, Certo che ce l’avevo, la squadra. Eravamo in tre: io, Antonio Forte, l’ispettore, e Tonino Esposito, l’assistente. Insieme abbiamo fatto grandi cose, oltre ad aver risolto ogni caso del quale ci siamo occupati.»

«Perfetto. Lo conosci quel detto, no? Squadra che vince non si cambia. Convocali a Padova, ne hai piena facoltà.»

«Tu dici che posso?»

«Io dico che devi. Anzi, non lo dico io: lo dice la legge. Padova ha bisogno di un questore efficiente, non di una donna a mezzo servizio.»

A Padova, l’appartamento riservato al questore in carica era un attico piuttosto grande di un palazzo del Settecento in Prato della Valle. In una profusione di cristalli, velluti e stucchi veneziani, le porte e le vetrate a doppio battente si aprivano su un terrazzo dal quale si godeva una vista di rara bellezza su una sequenza di saloni di rappresentanza. Troppi per una sola senza famiglia come Lolita! 

   Il sentimento di estraneità verso la città che non riconosceva più non dipendeva solo dalla paura diffusa per gli attentati dell’Isis. Anche la dimensione religiosa era molto cambiata, a cominciare dai preti. «Sì, perché la prima vera indagine che capitò sulla sua scrivania riguardava proprio gli ambienti religiosi.

   Lo scandalo che aveva travolto la città si respirava in ogni angolo, stampigliato a lettere scarlatte sugli strilli affissi alle edicole: PARROCO A LUCI ROSSE – FESTINI HARD IN CANONICA – A CASA DEL PRETE FRUSTE, VIBRATORI E VIDEO HARD».

Le cose migliorano per Lolita, mentre la scomparsa, nell’omertà generale, di un ragazzo da uno dei licei più in vista della città del Santo, mette a dura prova il talento investigativo di Lolì e, fra preti scandalosi, donne di famiglia molto allegre e sadomasi in circolazione non c’è da stare allegri e Lolita avrebbe quanto mai bisogno di recuperare i suoi colleghi pugliesi…

Fino a quando, dopo tanto freddo, intorno e nell’anima, la commissaria più bella del Mediterraneo riesce finalmente a farsi richiamare nella sua amata Puglia, dove pure l’attende un mistero da risolvere: una sensuale arpista è stata massacrata in un appartamento. I sospetti sono tanti, ma c’è uno strano testimone… Alle due estremità della penisola, tra panzerotti e pettole di Natale, la passionale poliziotta barese torna a ricercare la verità, sui luoghi di delitti efferati e nel fondo stropicciato del proprio cuore.

Tuttavia, finalmente e nuovamente a casa.

Lucia Bosia

Redazione Sfumaturedigiallo.it

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