Uno sguardo sugli autori – Elisabetta Sirani
Ci sono grandi artiste al femminile che sono poco conosciute al grande pubblico.
Avviene, talvolta che un romanzo dia notorietà ad un’artista che la merita, ma non l’aveva in precedenza.
Una grandissima pittrice come Artemisia Gentilileschi lega molto della sua fama più recente ad alcuni gialli legati alla vita di Caravaggio (tra cui, Enigma Caravaggio di Alex Connor) che, incidentalmente trattavano di Artemisia che deve molto al pittore di cui fu, da ragazzina perdutamente innamorata.
Nel caso di Artemisia c’è pure un bel romanzo a lei dedicato sempre dello stesso autore.
La storia, in qualche modo, a volte si ripete. Per Elisabetta Sirani non c’è un romanzo giallo che ne parla con tanto di nome e cognome, ma un autore di romanzi gialli fa partire il romanzo ” Il cesto di ciliegie” dalle vicende della giovane pittrice morta, in modo oscuro, a soli 27 anni.
Elisabetta Sirani nacque a Bologna l’8 gennaio 1638, maggiore dei cinque figli dell’artista Giovanni Andrea e di Margherita Masini. La formazione culturale di Elisabetta avvenne nella bottega del padre, stretto collaboratore di Guido Reni di cui fu allievo.
Giovanni Andrea conduceva una delle scuole di pittura di maggior successo di Bologna. Nella Bottega Elisabetta apprese i principi pratici e teorici della sua arte, nonché le tecniche della stampa d’arte, e in particolare le ultime innovazioni dell’acquaforte e realizzò anche alcuni ex libris.
Carlo Cesare Malvasia, influente critico, amico di famiglia e biografo della pittrice, sosteneva di averne scoperto il talento precoce, facendo in modo che il padre, inizialmente riluttante, istruisse la ragazza e «l’arrischiasse a’ pennelli».
Come donna, alla Sirani era preclusa ogni lezione di disegno tenuta dal padre all’Accademia del nudo nello studio di via Urbana. Questo, però, non le impedì di far pratica di disegno anatomico copiando i calchi in gesso di statue antiche e le stampe, i disegni e i dipinti che appartenevano alla collezione paterna o che passarono dal suo studio, dato che Giovanni Andrea oltre a essere pittore, era mercante d’arte e agente dei Medici.
Elisabetta disegnò i suoi familiari dal vivo, un esercizio che la dotò del talento idoneo a dipingere opere narrative e “quadretti da letto” devozionali, del tipo di Madonne con Bambino o Sacre Famiglie, che la resero famosa. Secondo Malvasia le sue Madonne erano le più belle dai tempi di Guido Reni.
Nella sua città natale, Sirani trovò l’ambiente fertile per la creatività femminile. Bologna, sede della più antica università d’Europa, era nota per la sua tradizione umanistica di donne erudite nelle arti, nella giurisprudenza e nelle scienze.
Bologna era anche la città più importante dello Stato pontificio dopo Roma, e la Controriforma aveva generato un fiorente mercato di opere sacre. Questo stato di cose garantì agli artisti bolognesi, uomini e donne, continue commesse provenienti dalla Chiesa e dai mecenati privati che desideravano dipinti religiosi per i loro palazzi. La pittrice fu in grado di soddisfare le richeste con una varietà di generi e temi.
I suoi primi lavori documentabili sono pale d’altare destinate a chiese fuori di Bologna, tra cui la Beata Vergine col Bambino con i ss. Martino, Sebastiano, Antonio da Padova e Rocco sull’altare maggiore della chiesa di S. Martino nel comune di Trasasso (1655). Il suo primo dipinto firmato e datato tuttora esistente è una ‘mezza figura’ che rappresenta uno dei suoi soggetti prediletti, S. Giovanni Battista (1654, collezione privata).
Nel 1658 Sirani fece il suo debutto pubblico a Bologna con il «quadro grandissimo» del Battesimo di Cristo per la chiesa di S. Girolamo della Certosa, una composizione magistrale con molti personaggi che misura 5×4 metri e per cui ricevette la cospicua somma di 1000 lire.
Sempre nel 1658, il suo Autoritratto come allegoria della Pittura (firmato, Mosca, Museo Puškin), dipinto per un notaio del vescovado, mostra una notevole padronanza del mezzo pittorico e una superba orchestrazione cromatica considerata la giovane età dell’artista, appena ventenne.
Sirani aveva una speciale attitudine per la pittura storica con donne come protagoniste principali, e molte di queste opere le vennero commissionate dalla ricca classe mercantile di Bologna, come il banchiere Andrea Cattalani come Giuditta con la testa di Oloferne (1658).
Nel 1660 la pittrice venne eletta professore a pieno titolo dell’Accademia d’arte di San Luca a Roma, segno che ormai era considerata una ‘maestra’ professionista in grado di dirigere un proprio studio e di insegnare. La Sirani diventò anzi ‘capomaestra’ (1660-62 ca.) della bottega del padre, quando questi smise di dipingere a causa della gotta che gli deformò malamente le mani.
Eclissando il genitore per qualità, produzione e popolarità assunse gli apprendisti e gli assistenti paterni, alcuni dei quali diventarono copisti della sua opera pittorica e incisoria originale. Avere un padre artista come insegnante e agente probabilmente l’aiutò ad affermarsi come pittrice di successo in una professione dominata dagli uomini.
In quei tempi la maggior parte delle donne che intraprendevano una carriera professionale nelle arti potevano contare su un parente uomo che insegnava loro nella bottega di famiglia. Sirani, però, sviluppò presto un nuovo modello pedagogico, secondo cui ragazze figlie di nobili e di artisti imparavano a disegnare e dipingere da un’artista donna, invece che dai rispettivi padri, mariti o fratelli.
Elisabetta è dunque una figura rivoluzionaria, una delle prime artiste che, fuori dall’ambito conventuale, riuscì a fondare una scuola d’arte professionale per studentesse, tra cui le sue due sorelle minori Barbara e Anna Maria, e la nobildonna Ginevra Cantofoli, divenuta sua assistente nel 1656.
Sirani fu anche una delle poche artiste bolognesi a firmare frequentemente le sue opere ideando modi creativi come inserire il suo nome ‘ricamato’ su cuscini o bottoni all’interno dei dipinti. ). La pittrice impiegò varie strategie di autopromozione, permettendo ai clienti di guardarla lavorare nella sua bottega-galleria ed esponendo le opere finite per sottoporle a una ‘verifica pubblica’ prima di consegnarle ai committenti.
Elisabetta portò a termine, nei suoi undici anni di carriera, circa duecento dipinti, quindici incisioni e innumerevoli disegni e schizzi ad acquerello.
L’ultima sua opera conosciuta è la bellissima Madonna del cuscino (firmata, 1665, Bologna, collezione privata) dipinta per Enrichetta Adelaide di Savoia, duchessa di Baviera. Elisabetta non si sposò mai, rimase un’artista lavoratrice nubile preferendo le soddisfazioni della carriera al matrimonio e alla vita familiare. Quando raggiunse la maturità artistica, tra il 1662 e il 1664, era ormai diventata uno degli artisti più rispettati, influenti e di successo a Bologna, tanto da eclissare persino la popolarità del Guercino.
Morì il 28 agosto 1665, con il sospetto che fosse stata avvelenata, ma, in seguito, l’autopsia dimostrò che si era trattato di una peritonite.
Per maggiori informazioni “Enciclopedia Treccani”.
Marco Asteggiano