Le sette fate di Youssef: lo storytelling di un viaggio, di Linda Scaffidi
All’inizio, francamente, avevo pensato che il nuovo romanzo di Linda Scaffidi “Le sette fate di Youssef” fosse un altro appassionante noir. Mi sono ricreduto quasi subito; tuttavia, coinvolgente e appassionante, lo è anche questo. Letto in treno, durante il viaggio per le vacanze romane. Quindi, si può affermare a ragione che si legge veloce.
Un libro di 237 pagine, pubblicato da Fazi Editori e una bellissima copertina: “Le chemin vers le ciel” del francese Jean Mallard.

Linda Scaffidi è una mediatrice culturale e questo spiega il nuovo genere, ma sono sicuro che non abbandonerà l’altro.
La sicilia, terra di naratori
Storie di una città cosmopolita quale è Palermo e storie di sedimentazioni di immigrazioni e nuove stratificazioni che fanno della Sicilia un crogiolo di razze che nell’isola ha attecchito talmente bene da farne una declinazione della civiltà fenicia, romana, greca, araba, normanna, visigota, vandala, spagnola e islamica. In altre parole, una coniugazione di sicilianità che è “Una, nessuna, centomila” come il romanzo di pirandelliana memoria.
E Linda Scaffidi, nel suo story telling dove vuole andare a parare? Che obiettivo si pone nel suo progetto salvifico? Intende recuperare e valorizzare il modicano poeta Salvatore Quasimodo? Non solo:
<< Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.>>
Liriche belle ed ermetiche del poeta di Modica che vinse il Nobel per la letteratura nel 1959.
E ancora <<Dolore di cose che ignoro>>. Bella anche la citazione della filosofa francese Simone de Beauvoir:
<< Io accetto la grande avventura di essere me stesso>>. E su questo assioma ci potremmo tenere una lectio magistralis e, speriamo qualcuno ci provi.
Ma ancor più belle le liriche dell’arabo siciliano “Ibn Hamddìs“, che riteneva che la sua patria fosse la Sicilia e quindi lui era più siciliano dei siciliani.
<<In alto la penombra si dirada agitata dai veli della luce…..>>.
Una storia bella e gradevole che ha un obiettivo alto, non solo di ricordi di poeti ma di evoluzione della vita e quello che ti sembrava passato è tornato ad essere futuro come nei corsi e ricorsi di Giambattista Vico o come in una bobina che va avanti e indietro e si riavvolge senza che tu capisca quale sia il prima e quale il dopo, come in un sogno che si accavalla.
Linda Scaffidi, nel suo alzo zero colpisce anche chi ha solo certezze e mai dubbi come quella insegnante di religione che asserisce, categoricamente, che un dio ci vuole: cristiano o musulmano, per forza ci vuole. L’ateo, un senza dio, non ci può stare, ma forse anche un ateo crede in qualcosa, per esempio, crede di non credere.
Linda prende in pieno anche me e mi ritorna alla mente una frase di mio padre:
<<Noi siamo come le piante che attecchiscono bene, in ogni luogo dove la terra sia buona> e quella è la patria, la tua.
I luoghi del romanzo
Ballarò che è un quartiere di Palermo, Modica, Fes e Marrakech in Marocco.
Al momento della partenza per il ritorno in Patria, il dialogo emblematico fra padre e figlio, due generazioni contrapposte, in dissidio fra loro.
<<Alì si voltò e vide Peppe, immobile sulla banchina.
<<Che fai?>> gli chiede il padre.
<<Resto qui>> rispose Peppe, alias Youssef, ma lui si sente siciliano, non “nasrani”, straniero in Sicilia, ma in Marocco sí.
Il racconto è anche una storia di riscatto, di nuove possibilità e anche di un amore tanto struggente da sembrare una favola come nella casa delle sette fate, appunto.
Ma è anche una storia di violenza al femminile che non conosce confini. Tutto ammantato in una pièce divertente, perché Linda Scaffidi vuole farti divertire.
Non diciamo di più per non togliere il gusto di leggere un romanzo appassionante, riflessivo per il lettore, profondo e intenso della nostra amica di penna Linda Scaffidi.
Tommaso Lo Russo

